Il petrolio a due lire è nemico dell’ambiente? Non è un mistero. Il barile va giù è crea un doppio sconquasso. Frena gli investimenti negli idrocarburi creando (nella storia è successo più volte) le premesse per il successivo effetto boomerang. Ma intanto deprime anche investimenti, la ricerca, la corsa alle alternative energetiche più amiche dell’ambiente nella generazione elettrica, nei trasporti, negli stessi criteri guida della politica industriale. Barack Obama, all’ultimo atto della sua presidenza del paese più energivoro del mondo, ha avuto un’idea: spezziamo il circuito perverso approfittando del greggio ai minimi per introdurre una tassa di 10 dollari al barile per finanziare la ricerca e l’impiego delle energie verdi e della mobilità sostenibile. Gli ambientalisti hanno apprezzato. Qualcuno ha malignato sulla tentazione attribuita ad Obama di riservare la tassa solo al petrolio importato, favorendo così (sarebbe stato questo , aveva azzardato qualcuno, il vero obiettivo della tassa) il tight oil made in Usa, il petrolio americano estratto con la tecnica della fratturazione del sottosuolo (fracking). Lo staff di Obama ha chiarito: la tassa sarebbe riservata a tutti i barili, importati e nati in patria. I repubblicani hanno comunque messo in moto un’insurrezione: “un macigno sui consumatori già alle prese con la crisi”. Forse non è proprio così. Gli analisti calcolano un impatto sui prezzi finali dei carburanti equivalente a 6 centesimi di euro al litro (25 centesimi di dollaro al gallone, per la precisione). Il nostro fisco e ben più ingordo e non usa certo le tasse per questioni ambientali, come ben noto. Carburanti in America rimangono, e rimarrebbero, ben più economici. Le nostre ripetute manovre di appesantimento fiscale di benzina, gasolio e metano hanno riservato ai cittadini ripetute bastonate ben più pesanti, portando la nostra imposizione fiscale sui carburanti a quasi il 70% del totale. Qui da noi una nuova tassa sui carburanti, ecologica o meno, sarebbe davvero una beffa.