Guai a non cogliere le ghiotte occasioni, a partire da quel che accade nelle mura domestiche. Dove ogni lampadina a led che sostituisce il vetusto predecessore a incandescenza regala un risparmio di circa 10 euro l’anno. Ce lo dice Eurostat nella sua ultima analisi. Ma ad aprire nuovi scenari per un’energia pulita, più efficiente e perfino molto più economica, sono almeno altri tre segnali freschi di divulgazione. Arrivano da varie latitudini del pianeta ma ben si adattano alle opportunità offerte al nostro paese, regalandoci qualche utile suggerimento. Parliamo dei nuovi impianti fotovoltaici che stanno sorgendo in Portogallo senza bisogno di alcun incentivo pubblico: segno che laggiù, dove l’irraggiamento solare è simile al nostro, l’energia così prodotta è ormai pienamente concorrenziale. Parliamo anche della Germania, che ha il sole più pallido ma ha più vento di noi: è riuscita anche lei per lunghe ore ad alimentare tutto il suo fabbisogno di elettricità proprio con le rinnovabili, lasciando sonnecchiare sia le centrali a gas che quelle a carbone o a lignite, mefitiche per l’ambiente. In Europa c’è chi c’è riuscito prima (Italia compresa) ma solo per tempi assai più brevi. E che dire del segnale che arriva dall’Australia, che si candida a campione nella grande sfida dell’accumulo di energia elettrica. Sfida costosa, ma sempre meno rispetto ai benefici garantiti. Tant’è che laggiù, agli antipodi, gli impianti piazzati dal patron dell’auto elettrica Elon Musk si sono guadagnati un brindisi ufficiale di istituzioni e cittadini. Perché hanno risolto almeno in un paio di occasioni le forti criticità del bilanciamento del sistema elettrico nazionale. Qualche dettaglio in più? Eccolo qui di seguito.
L’AFFARE DEI LED
Il crollo dei prezzi delle lampade a led è stato davvero vistoso. Meno di cinque euro per un bulbo che a parità di illuminazione taglia di sette volte il consumo delle vecchie lampade a filamento da 60 o 100 watt e dura fino a 10 volte. Perché non approfittarne per cambiare definitivamente l’intero parco lampadine delle nostre abitazioni? Perché non rottamare anche le lampade “a basso consumo” di vecchia generazione, quelle fluorescenti (CFL)? Un affare comunque, ci dice Eurostat nel suo ultimo studio che stima appunto i risparmi nei diversi paesi, che vanno da un massimo di 15 euro l’anno in Danimarca e Germania, dove costi dell’elettricità sono i più elevati nella Ue, per scendere a 4,7 euro in Bulgaria. Per l’Italia viene stimato risparmio di circa 10,7 euro per ciascuna lampada utilizzata mediamente per tre ore al giorno. Eurostat prende a riferimento i costi elettrici del primo semestre 2017 equivalenti a € 0,21 a kilowattora, ma considerando il recente aumento del 5,3% dei nostri costi dell’elettricità previsto per la prima parte di quest’anno gli analisti del portale QualEnergia valutano il minor esborso in circa 11,2 euro. Per un’abitazione di medie dimensioni, dominata da almeno una decina di lampadine, il risparmio è tutt’altro che trascurabile.
FOTOVOLTAICO CAMPIONE
Cosa potrebbe accadere nel nostro paese se i tormenti autorizzativi e relativi costi aggiuntivi per installare i pannelli solari impianti di medio grande dimensione dovessero come per incanto scomparire allineandoci ai paesi burocraticamente più virtuosi? Semplice: le cose potrebbero andare come in Portogallo o anche meglio. Laggiù si continuano ad approvare nuovi progetti di grandi parchi fotovoltaici senza alcun incentivo, come sottolinea il sito specializzato PV-Magazine. Sta di fatto che l’ultima sfornata di fotovoltaico portoghese prevede se impianti per una potenza totale quasi 230 megawatt. Il Portogallo è ricco di sole di vento. Noi siamo campioni del sole, specie nel meridione. Ma anche di burocrazia che intralcia, appesantisce i business Plan. Burocrazia dalle regole mutevoli e spesso imprevedibili, per giunta variabili da territorio a territorio. Non ci resta che sperare nei negoziati che si terranno nel corso di quest’anno tra parlamento europeo, commissione Ue e consiglio per mettere a punto le nuove politiche energetiche sulle rinnovabili e l’efficienza energetica. La comunità degli investitori chiede alla Ue un quadro normativo chiaro e di lungo termine, realmente vincolante per i singoli Stati. Nel nostro caso potrebbe contribuire a sfoltire, chissà, la nostra burocrazia.
TUTTO RINNOVABILE
Era il primo giorno di gennaio. Scenario poco probante per i consumi elettrici in rapporto alla capacità produttiva di un paese in sonnacchiosa festa dopo i bagordi di Capodanno. Sta di fatto che in Germania – riferiscono gli esperti di QualEnergia – per gran parte della giornata il fabbisogno elettrico del paese è stato coperto dalle sole fonti verdi. Un record anche rispetto a chi aveva già fatto lo stesso ma per tempi più brevi, come il Portogallo in un paio di occasioni o l’Italia già nel giugno del 2013. Certo, i tedeschi pur essendo stati apripista europei del fotovoltaico (oltre che dell’eolico) sono ben lontani da una vera revisione di un mix energetico che affida ancora oggi circa il 50% alla generazione al carbone o all’ancor più inquinante lignite. Contraddizioni e cattive abitudini a cui si promette però di porre rimedio con proclami ambiziosi. Ecco l’accordo di massima tra Cdu-Csu e Spd nel mezzo delle manovre per la grande coalizione: il ricorso alle rinnovabili dovrà raggiungere 65% entro il 2030 con un’uscita graduale dai combustibili fossili per arrivare al 2050 a un mix energetico totalmente decarbonizzato. Sfida davvero ardua, ma la promessa testimonia perlomeno una consapevolezza: il cambio di marcia è ormai obbligatorio, per tutti. Noi italiani abbiamo la nostra Sen (Stategia Energetica Nazionale) che traccia obiettivi altrettanto ambiziosi ma vale quel che vale. E’ stata presentata dai due ministeri dello Sviluppo e dell’Ambiente poche settimane fa, a fine legislatura, sotto forma di un pregevole compendio analitico sullo scenario e sui buoni obiettivi da traguardare, ma senza alcuna condivisione formale tra le diverse forze politiche.
BATTERIE DA VITTORIA
“Mister Tesla”, ovvero Elon Musk, vive un momento più un po’ difficile con le sue potentissime (e costosissime) auto elettriche. Il modello un po’ più popolare fa fatica ad ingranare. Le economie di scala si materializzano con difficoltà. Ma a tirare sulle sorti del geniale quarantaseienne di origine sudafricana naturalizzato americano c’è quello che forse è il vero core business: le batterie nelle loro mega applicazioni. Musk vuole essere il numero uno negli accumuli al servizio delle reti e dei sistemi elettrici, e magari nei sistemi integrati con grandi impianti fotovoltaici o eolici. L’Australia premia. L’impianto da record negli accumuli è l’Hornsdale Power Reserve, con lo suo storage elettrochimico da 100 megawatt di potenza e quasi 130 MWh di capacità. Nel novembre scorso è stato testato con i primi cicli di ricarica e scarica ed è entrato in servizio sperimentale. Ha già mostrato le sue capacità. Nelle ultime tre settimane il sistema batteria marcato Tesla è riuscito a fronteggiare i problemi di sicurezza della rete nel South Australia in almeno un paio di occasioni intervenendo in tempi rapidissimi (poco più di un decimo di secondo) per fronteggiare improvvisi cali o interruzioni nella generazione di energia causate da picchi di temperatura che hanno superato i 40° mettendo alle strette impianti di generazione e le linee di trasmissione. Un buon viatico per le ambizioni di Musk in patria, per la precisione in California, dove l’amministrazione statale sta sollecitando le utility a mettere in campo sistemi di accumulo a batteria per un totale di 1,32 GW da rendere pienamente operativi entro il 2020. Siamo sicuri che le nostre imprese nazionali di elettronica e elettrotecnica, considerate tra le migliori al mondo negli apparati di controllo e gestione di questi sistemi, non possono (e non debbano) giocare le loro carte?