Nuove facilitazioni normative ( e magari qualche aiuto economico) per rilanciare il fraking, la controversa fatturazione delle rocce profonde per estrarre nuovo petrolio e gas direttamente in patria. E guai ad esagerare con le limitazioni al carbone in nome della “bufala” (hoax) dei cambiamenti climatici provocati dall’uomo. Guai a spendere troppe energie per l’auto elettrica, visto che il popolo americano già fatto molto per abbandonare i suoi incrociatori della strada ingoiando un parco macchine già abbastanza “europeo”. Automobili scoppiettanti e muscolose sono e dovranno essere come le armi da fuoco: patrimonio di diritto naturale del popolo americano. Ma siamo sicuri che il pensiero energetico-ambientale di Donald Trump, per quanto brutalmente lineare, faccia davvero gli interessi degli Stati Uniti d’America? La storia recente e i segnali di quel che sta accadendo in queste settimane dovrebbero indurre il nuovo presidente americano a mediare molto delle teorie esibite nella sua scalata alla Casa Bianca. Il fracking fa ricca l’America? La corsa alla tutela ambientale ne rallenta la marcia? La verità è un’altra: la ricetta preannunciata da Donald Trump potrebbe invece sortire poderoso effetto boomerang rispetto ai bersagli indicati dal nuovo capo della più grande potenza mondiale.
Lo shale gas e il tight oil, gli idrocarburi tirati su violentando il sottosuolo, hanno virtualmente restituito agli Stati Uniti il ruolo di maggior produttore del materiale energetico egemone (per ora) nel mondo. Ma dopo qualche euforia iniziale hanno presentato, direttamente al popolo americano, il loro sgraditissimo conto. Sul fronte ambientale, come ormai nessuno nega. Ma anche – ed è questo che dovrebbe muovere il nuovo Presidente a qualche riconsiderazione – anche sul fronte degli equilibri e degli interessi economici della nazione. Il nuovo mondo della finanza e dell’impresa, nato sul business dei violentatori energetici del sottosuolo, non ha fatto bene i conti né sull’onerosità dell’operazione né tanto meno sullo stretto che questa avrebbe avuto nelle politiche di prezzo dei produttori tradizionali di idrocarburi. E la combinazione tra le due cose ha prodotto una conclamata crisi dell’industria americana dello shale. Il ritorno di una quotazione del barile mediana tra i 30 dollari del profondo rosso e gli 80 dollari considerati come punto di equilibrio tra la tollerabilità sistemi industriali e le aspettative di affari petrolifero ha dato solo un po’ di nuovo fiato allo shale americano, che rimane sul filo del rasoio. Il suo rilancio a colpi normativi e magari fiscali indurrebbe il cartello o i cartelli dei produttori tradizionali a nuove facili manovre per strangolare di nuovo scenario. Bisognerà mediare trovando un equilibrio.
E questo scenario si combina, con non pochi imbarazzi, con l’altro: quello della decarbonizzazione e il contemporaneo impegno crescente verso le energie rinnovabili combinate con l’elettrificazione di tutto ma proprio tutto: dai riscaldamenti delle nostre case alla mobilità pubblica e privata. Anche qui con ragioni economiche e geopolitiche che ormai stanno assumendo tutta la loro evidenza. Si dice che Trump sia vicino a Putin anche in nome della convergenza strutturale nel mondo degli idrocarburi, e lontano, e dunque nemico, della Cina? Bene, anzi male. Perché qualche consigliere si spera corto starà sicuramente riferendo al nuovo inquilino della Casa Bianca ciò che la Cina sta facendo per consolidare la prima posizione mondiale nella ricerca e nella produzione quello che riguarda l’economia verde, ipotecando innanzitutto la supremazia nella corsa alla mobilità elettrica. E non certo in nome dell’altruismo e della coscienza ecologica. Ci spiegano i più quotati analisti che a far marciare alla tecnologia del verde è in maniera sempre più evidente il business. Il nuovo business, comunque la si veda. Che nel mondo cresce in maniera poderosa. Tant’è che i cinesi – che nel 2012 erano stati accusati pubblicamente da Donald Trump di alimentare strumentalmente la “bufala” dell’effetto serra in chiave antiamericana – continuano a spingere, con palese spregiudicatezza, sul doppio pedale. Quello di un’economia che continua a marciare largamente con il carbone proprio per finanziare la loro corsa parallela e prorompente a tutto ciò che di verde avrà bisogno l’umanità.