Fronteggiare l’ascesa demagogica di Beppe Grillo? Forse basterebbe usare il buon grillismo che c’è in noi. Sembra un paradosso. Ma è proprio così. Vale dunque la pena sfogliare il programma che il nostro capopopolo contrappone all’Agenda del Professor Monti. Il filo conduttore, certo, è quello del populismo shakerato con statalismo e dirigismo. Gli svarioni concettuali non mancano. Le ingenuità (vere o furbescamente volute?) neppure. Ma il contributo di qualche testa pensante si vede, non si sa se per autentica virtù o per distrazione del grande capo. Emergono qua e là alcune idee sensate che persino nel programma di Monti sono rimaste impigliate nella prudenza o, peggio nell’indecisione. Scorriamo allora il programma (www.beppegrillo.it). Nelle sue falle evidenti. Nelle sue ingenuità. Nei suoi bersagli centrati.
Nel capitolo sullo Stato e i cittadini c’è la facile raccolta di molte promesse formulate non solo da Monti ma da buona parte dei governi che lo hanno preceduto. Dall'abolizione delle province all'accorpamento dei comuni più piccoli. Aria di demagogia nella proposta di insegnare obbligatoriamente la Costituzione, con relativo esame, ad ogni rappresentante pubblico. Di facile presa l’idea di cancellare qualunque contributo pubblico ai partiti. Un po’ di ingenuità in quella di allineare lo stipendio dei parlamentari alla media degli stipendi nazionali. Scarsa conoscenza in quella di vincolare l'approvazione di ogni legge all'effettiva copertura finanziaria: l’obbligo c'è già, anche se il pieno rispetto non è sempre garantito. Ma come contestare proposte che dovrebbero essere già cosa pienamente fatta. Ad esempio la non eleggibilità a cariche pubbliche per i cittadini condannati. Ma anche su questo versante ecco la falla: nella proposta di estendere il divieto di cumulo delle cariche per i parlamentari si sollecita l’introduzione della incompatibilità tra sindaco e deputato, che c’è già. Clamoroso poi lo svarione contenuto nell'idea di abolire le Authority (tutte) a favore delle class action (il nesso diretto tra i due strumenti risulta francamente incomprensibile), con la negazione implicita di una delle fondamenta delle nostre sacrosante liberalizzazioni. Per negare addirittura i principi della democrazia rappresentativa quando si propone di istituire referendum sia abrogativi che propositivi senza quorum.
Merita attenzione il capitolo sull'energia. Sugli obblighi di incrementare l'efficienza energetica c'è realismo e buona conoscenza degli argomenti, ad esempio quando si citano gli obblighi disattesi previsti già nella legge 10 del 1991 sul risparmio energetico e in particolare sui consumi massimi di combustibile per riscaldare gli edifici, applicata con profitto solo dalla provincia di Bolzano. Oppure quando si sollecita l'applicazione della legge, varata e poi neutralizzata, sulla certificazione energetica degli edifici. Certo, si sbagliano le stime sull'efficienza delle nostre centrali elettriche, quando si censura ingiustamente l'Enel perché avrebbe fatto molto meno del possibile per modernizzare i suoi impianti: non è vero. Sacrosanto comunque l'appello a promuovere la cogenerazione diffusa di energia elettrica e calore, e a incentivare l'incremento tutto campo dell'efficienza energetica, anche con il ricorso all'energia distribuita con l'estensione della possibilità di riversare in rete e di vendere anche l'elettricità generata dai micro impianti di tagli inferiori ai 20 kW.
Denso di svarioni il capitolo sull'informazione. Non certo nelle premesse. Abbiamo effettivamente una pericolosa commistione tra potentati economici e circuiti mediatici. La Rai rimane ben lontana dal suo ruolo di servizio pubblico ben gestito e neutrale. Si può certamente vagliare e discutere l’idea di una rete televisiva unica pubblica e senza pubblicità. Ma l'idea di distribuire da capo con asta pubblica le frequenze televisive ogni cinque anni sottoporrebbe il settore, oggi preda dell’orgia di abusi e appropriazioni indebite dell’etere (combatterlo davvero no?) ad un massacro finanziario ancor più pericoloso. E che dire dell'idea di garantire, evidentemente a cura dello Stato, un accesso Internet gratuito per tutti? Via alla demolizione di un mercato, con la statalizzazione delle telecomunicazioni o almeno di quelle di base. Proprio così. Il programma di Grillo ha se non altro il pregio di dirlo chiaramente, quando si propone la statalizzazione della dorsale telefonica con il suo riacquisto a prezzo di costo da Telecom Italia per poi offrire “gli stessi servizi a prezzi competitivi” agli operatori telefonici eliminando però per legge il canone telefonico per l'allacciamento alla rete fissa.
Ed ecco il capitolo nevralgico dell'economia. Dirigismo poco plausibile quello che anima l'idea di vietare le cariche multiple ai consiglieri di amministrazione nei consigli di società quotate. Un po’ sovietica, anche nella sua esposizione, l'idea di ”impedire lo smantellamento delle industrie alimentari manifatturiere con un'prevalente mercato interno”. Salvataggio di Stato per principio? Sensata l'idea di introdurre un tetto (evidentemente più consistente di quello già ora teoricamente previsto) per gli stipendi del management delle aziende controllate dallo Stato. Ma quando si infligge lo stesso vincolo a tutti i dirigenti delle aziende quotate in borsa la demagogia diventa evidente. Lo stesso per la proposta di vietare la nomina dei condannati in via definitiva ad amministratori di aziende partecipate dallo Stato (scelta forse augurabile) o quotate in borsa (coercizione poco auspicabile nei confronti di aziende che operano integralmente nel libero mercato).
Nel capitolo dedicato ai trasporti qualcosa di buono c'è. Come non essere d'accordo sulla opportunità di disincentivare l'uso del mezzo privato nelle città, o per sviluppare delle piste ciclabili, o nell'obbligo di definire attuare piani di mobilità per i disabili a livello comunale. Con il potenziamento in ogni caso dei mezzi pubblici. Un po' risibile l'obbligo di istituire spazi condominiali per parcheggiare le biciclette. Ma ecco la demagogia populista che prende il sopravvento, con il blocco immediato del ponte sullo Stretto ma anche della Tav in Val di Susa, e persino con la proibizione costruire nuovi parcheggi nelle aree urbane.
Fonte di utile riflessione il capitolo dedicato alla salute. Nessun ridimensionamento del sistema sanitario pubblico ad accesso universale ma semmai una revisione critica del sistema che affida alle regioni il finanziamento e il funzionamento “accentuando le differenze territoriali”. A Grillo non piace la trasformazione del sistema sanitario in senso aziendale, con relativa valorizzazione dei parametri economici, anche se sembra proprio questo l'unico sistema per garantire la sopravvivenza del servizio universale. Come non condividere l'idea di istituzionalizzare lo schema dei ticket proporzionali al reddito per le prestazioni non essenziali. O quella di promuovere l'uso di farmaci generici ed equivalenti meno costosi, come del resto si sta già tentando di fare.
Per l'istruzione, infine, ci si limita ad un elenco di buoni propositi. La diffusione obbligatoria di Internet nelle scuole, con l'abolizione progressiva dei libri stampati, l'insegnamento obbligatorio dell'inglese sin dall'asilo, l'abolizione del valore legale dei titoli di studio, la promozione di strutture di accoglienza per gli studenti. Ma ecco che qui una spruzzata di demagogia, che contiene però qualche utile stimolo: la valutazione dei docenti universitari da parte degli studenti, l'accesso pubblico via Internet a tutte le lezioni.