Ci sono, a volte, circostanze fortunate. Anche per il nostro dissestato paese. Prendiamo il grande sogno dell’auto elettrica: il salto tecnologico che dovrebbe consentire una larga diffusione è alle porte, spronato dalle esigenze ambientali, incitato dalle promesse dei governi (anche il nostro), più che giustificato dal buon volume di affari che gli analisti prevedono per un futuro non lontano. E ci sono appunto le circostanze fortunate. Nascono dalla crisi di vecchi insediamenti industriali. Non da oggi, per la verità.
La prima illusione si ebbe con lo stabilimento siciliano ex Fiat di Termini Imerese. Perfino qualche politico di buon nome sposò le valutazioni di qualche indiscusso esperto di economia industriale: quello stabilimento sarebbe stato un’ottima base per costruire il primo nucleo di un polo italiano dell’auto elettrica all’avanguardia in Europa e, chissà, nel mondo. A Termini Imerese qualcosa forse si farà, ma poco. Ora non mancano nuove poderose occasioni. C’è in Calabria il complesso industriale e logistico di gioia Tauro. Qualcuno aveva pensato al polo italiano dell’auto elettrica proprio lì. Poi si è scivolati su un progetto automobilistico tradizionale. Quello dell’americana LCV Capital Management. Che però si sta tirando indietro dirottando i suoi piani, in versione ridotta, sulla vicina Puglia. Dove, se non altro, potrebbe dare nuova vita automobilistica all’ex industria di carrelli elevatori di Modugno (Bari).
Un’occasione comunque persa, perché il polo di Gioia Tauro ha tutte le caratteristiche per innescare davvero la rivoluzione industriale dell’auto elettrica italiana: ha ottime infrastrutture industriale di base, ha una logistica naturalmente integrata e proiettata verso le grandi rotte mediterranee e non solo, ha le competenze e la buona volontà di schiere di giovani ben dotati di preparazione che nascono dagli ottimi atenei meridionali. Merita abbondantemente l’agognata credibilità di un progetto nazionale per l’auto elettrica alla quale potrebbe partecipare la mano pubblica, con ottime prospettive di concretezza e anche di redditività, attraverso la nuova conformazione della Cassa Depositi e Prestiti, che ripropone pari pari (chi lo nasconde pecca di evidente ipocrisia) la vecchia missione dell’Iri e delle Partecipazioni Statali.
Si farà poco niente a Termini Imerese e a Gioia Tauro? Ecco pronta un’opportunità ancor più concreta, ancor più coerente, in grado di mettere a fattor comune le ottime competenze tecnologiche del nostro paese con una rinnovata filosofia di sostegno della politica e delle istituzioni. Parliamo della mega-centrale elettrica Enel in dismissione a Montalto di Castro, nell’alto Lazio. Sarebbe il polo dell’auto elettrica ideale.
Le strutture di Montalto ben si adattano ad un insediamento industriale metalmeccanico ed elettronico. Nell’area c’è già un non disprezzabile insediamento di pannelli solari. Il porto di Civitavecchia, uno dei più grandi d’Italia, è lì a due passi, pronto ad assicurare tutta la logistica che serve. E sempre Civitavecchia c’è un’altra centrale Enel, a carbone pulito di ultima generazione, pronta a dare energia, magari in sinergia con un gruppo elettrico a gas che potrebbe essere “salvato” nelle strutture della vecchia centrale per essere messo servizio dell’insediamento industriale. A 100 chilometri c’è Roma, dove potrebbero nascere e prosperare le basi amministrative.
Ma soprattutto c’è qualcosa di sconosciuto ai più: l’interesse già manifestato per per le strutture di Montalto di Castro da alcune industrie cinesi dell’automotive, attraverso primarie società italiane di consulenza. Risorse finanziarie e semilavorati orientali insieme alle conclamate competenze italiane nelle tecnologie avanzate, nella componentistica elettronica e meccanica, nel design? Perché no. Per un paese che ha dimostrato finora di credere poco all’auto elettrica sarebbe un bel salto di qualità.
Enel sta lavorando con generoso impegno per trasformare, con il piano “Futur-e” una dismissione industriale in un’occasione di innovazione di sviluppo per gli stessi territori che ospitavano le vecchie centrali ora fuori mercato. Se sono le istituzioni si mettessero una buona azione, all’insegna delle snellezze amministrative e di provvidenziale creatività, qualche sogno potrebbe diventare realtà.
Ci sono, a volte, circostanze fortunate. Anche per il nostro dissestato paese. Prendiamo il grande sogno dell’auto elettrica: il salto tecnologico che dovrebbe consentire una larga diffusione è alle porte, spronato dalle esigenze ambientali, incitato dalle promesse dei governi (anche il nostro), più che giustificato dal buon volume di affari che gli analisti prevedono per un futuro non lontano. E ci sono appunto le circostanze fortunate. Nascono dalla crisi di vecchi insediamenti industriali. Non da oggi, per la verità.
La prima illusione si ebbe con lo stabilimento siciliano ex Fiat di Termini Imerese. Perfino qualche politico di buon nome sposò le valutazioni di qualche indiscusso esperto di economia industriale: quello stabilimento sarebbe stato un’ottima base per costruire il primo nucleo di un polo italiano dell’auto elettrica all’avanguardia in Europa e, chissà, nel mondo. A Termini Imerese qualcosa forse si farà, ma poco. Ora non mancano nuove poderose occasioni. C’è in Calabria il complesso industriale e logistico di gioia Tauro. Qualcuno aveva pensato al polo italiano dell’auto elettrica proprio lì. Poi si è scivolati su un progetto automobilistico tradizionale. Quello dell’americana LCV Capital Management. Che però si sta tirando indietro dirottando i suoi piani, in versione ridotta, sulla vicina Puglia. Dove, se non altro, potrebbe dare nuova vita automobilistica all’ex industria di carrelli elevatori di Modugno (Bari).
Un’occasione comunque persa, perché il polo di Gioia Tauro ha tutte le caratteristiche per innescare davvero la rivoluzione industriale dell’auto elettrica italiana: ha ottime infrastrutture industriale di base, ha una logistica naturalmente integrata e proiettata verso le grandi rotte mediterranee e non solo, ha le competenze e la buona volontà di schiere di giovani ben dotati di preparazione che nascono dagli ottimi atenei meridionali. Merita abbondantemente l’agognata credibilità di un progetto nazionale per l’auto elettrica alla quale potrebbe partecipare la mano pubblica, con ottime prospettive di concretezza e anche di redditività, attraverso la nuova conformazione della Cassa Depositi e Prestiti, che ripropone pari pari (chi lo nasconde pecca di evidente ipocrisia) la vecchia missione dell’Iri e delle Partecipazioni Statali.
Si farà poco niente a Termini Imerese e a Gioia Tauro? Ecco pronta un’opportunità ancor più concreta, ancor più coerente, in grado di mettere a fattor comune le ottime competenze tecnologiche del nostro paese con una rinnovata filosofia di sostegno della politica e delle istituzioni. Parliamo della mega-centrale elettrica Enel in dismissione a Montalto di Castro, nell’alto Lazio. Sarebbe il polo dell’auto elettrica ideale.
Le strutture di Montalto ben si adattano ad un insediamento industriale metalmeccanico ed elettronico. Nell’area c’è già un non disprezzabile insediamento di pannelli solari. Il porto di Civitavecchia, uno dei più grandi d’Italia, è lì a due passi, pronto ad assicurare tutta la logistica che serve. E sempre Civitavecchia c’è un’altra centrale Enel, a carbone pulito di ultima generazione, pronta a dare energia, magari in sinergia con un gruppo elettrico a gas che potrebbe essere “salvato” nelle strutture della vecchia centrale per essere messo servizio dell’insediamento industriale. A 100 chilometri c’è Roma, dove potrebbero nascere e prosperare le basi amministrative.
Ma soprattutto c’è qualcosa di sconosciuto ai più: l’interesse già manifestato per le strutture di Montalto di Castro da alcune industrie cinesi dell’automotive, attraverso primarie società italiane di consulenza. Risorse finanziarie e semilavorati orientali insieme alle conclamate competenze italiane nelle tecnologie avanzate, nella componentistica elettronica e meccanica, nel design? Perché no. Per un paese che ha dimostrato finora di credere poco all’auto elettrica sarebbe un bel salto di qualità.
Enel sta lavorando con generoso impegno per trasformare, con il piano “Futur-e” una dismissione industriale in un’occasione di innovazione di sviluppo per gli stessi territori che ospitavano le vecchie centrali ora fuori mercato. Se sono le istituzioni si mettessero una buona azione, all’insegna delle snellezze amministrative e di provvidenziale creatività, qualche sogno potrebbe diventare realtà.
L’auto elettrica un sogno ? Mah!
A parte una mediatica impresa americana, che malgrado i panegirici di voi giornalisti sta bruciando miliardi e avanza verso il baratro, i protagonisti mondiali dell’auto non mi pare si affrettino a produrre auto elettriche.
Costo, peso e durata delle batterie, autonomia, tempi di ricarica in viaggio, e modalità di ricarica notturna, specie nei grandi condomini cittadini la rendono un prodotto di nicchia, che difficilmente conoscerà i volumi delle auto a combustione, che si stanno evolendo verso l’uso dell’idrogeno.
Saggiamente i giapponesi sono diventati piuttosto i campioni dell’ibrido, e i tedeschi non si sono ancora sbilanciati sull’elettrico.
FCA ha molti problemi da risolvere, finanziari, di affidabilità, di performance, e non ha certo soldi da spendere per il settore di nicchia delle batterie elettriche.
Meglio sognare qualcos’altro !